Il Morbo di K è una malattia inventata nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale, da Adriano Ossicini insieme al dottor Giovanni Borromeo per salvare alcuni italiani di religione ebraica dalle persecuzioni nazifasciste a Roma. Il morbo venne così definito dalle iniziali degli ufficiali nazisti Kesselring e Kappler.

Il 16 ottobre 1943 le truppe tedesche della Gestapo entrarono nel ghetto e in altre zone della città per un rastrellamento che porterà all’arresto di oltre mille persone, la maggior parte delle quali verrà poi deportata direttamente ad Auschwitz.
Alcuni riuscirono a fuggire trovando rifugio, vicino al ghetto ebraico, sulla piccola isola Tiberina, nell’antico Ospedale Fatebenefratelli. Il dottor Borromeo insieme a Ossicini e Sacerdoti falsificò le cartelle cliniche segnando per tutti i fuggitivi la stessa diagnosi, il Morbo di K.
A seguito di un controllo da parte dei tedeschi vennero controllati tutti i degenti nell’ospedale e Giorgio Borromeo, che parlava tedesco, spiegò ai soldati la pericolosità del morbo e quanto fosse contagioso, questo fece desistere i tedeschi dall’ispezionare il padiglione.

Gli ebrei restarono fino a quando, da una tipografia non arrivarono clandestinamente falsi documenti di identità che permettessero loro
la fuga dopo essere stati dichiarati morti con il loro vero nome.
Qui lavorava, sotto falso nome, anche il medico Vittorio Emanuele Sacerdoti a cui, nonostante le leggi razziali, era stato dato un posto di praticante studente per segnalazione di suo zio, il noto fisiopatologo Marco Almagià di cui il primario del Fatebenefratelli, Giovanni Borromeo, era stato allievo.
Secondo la testimonianza di Sacerdoti, rilasciata nel 1998 alla Shoah Foundation, si trattava di suoi pazienti che, sapendolo in ospedale, avevano pensato di rivolgersi a lui per aiuto.
Questa storia si inquadra nella drammatica situazione che venne a crearsi in tutta Italia, e in particolare a Roma, a seguito dell’Armistizio dell’8 settembre 1943; da quel momento, narra Sacerdoti, il Fatebenefratelli, che si trovava in territorio vaticano, divenne destinazione di molti fuggitivi “carabinieri, polizia dell’Africa orientale, partigiani, ebrei e, successivamente, fascisti“.
Nel 2004 lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, ha riconosciuto come giusto Giovanni Borromeo per l’aiuto prestato a cinque membri della famiglia Almajà-Ajò-Tedesco.