Giovanni Passannante, nato a Salvia di Lucania, provincia di Potenza, è stato un anarchico italiano.

Nel 1878 fu autore di un attentato fallito alla vita di re Umberto I, il primo nella storia della dinastia Savoia. Condannato a morte, la pena gli fu commutata in ergastolo. La sua prigionia fu spietata e lo condusse alla follia, sollevando un enorme scandalo nell’opinione pubblica. Venne, in seguito, trasferito in manicomio, dove passò il resto della sua vita.
Attentato
Il 17 novembre 1878, Umberto I accompagnato dalla moglie Margherita e dal figlio, assieme al primo ministro Benedetto Cairoli, era in visita a Napoli. Quando il corteo giunse all’altezza del “Largo della Carriera Grande” nel mezzo di un pubblico festante.
Passannante era tra la folla, attendendo il momento opportuno per avvicinarsi alla carrozza del sovrano, che avanzava lentamente nella piazza. Giunto il suo momento, Passannante sbucò all’improvviso dalla folla, cacciò un taglierino e tentò di accoltellare il monarca. Il re riuscì a difendersi, rimanendo leggermente ferito al braccio sinistro. Cairoli afferrò l’attentatore per i capelli ma venne ferito da un taglio alla coscia destra, una ferita non grave nonostante l’abbondante sangue versato. Accorsero subito i corazzieri e il loro capitano Stefano De Giovannini colpì l’anarchico con un fendente alla testa e Passannante venne subito tratto in arresto.
La folla circostante, vedendo un uomo ferito condotto via, non si accorse immediatamente del fallito assassinio e pensò che Passannante fosse stato investito dalla carrozza reale: non ci fu quindi alcun tentativo di linciaggio. Il tutto si compì in un tempo così breve che le altre carrozze vicine a quella reale non dovettero mai fermare la loro marcia.
Nonostante le ferite alla testa, non venne accompagnato in ospedale per essere medicato. Affermò di aver agito da solo, di aver escogitato l’attentato due giorni prima e negò di appartenere a qualche organizzazione politica.
Processo e condanna
“La maggioranza che si rassegna è colpevole. La minoranza ha il diritto di richiamarla.” (Passannante davanti al giudice)
Il 6 e il 7 marzo 1879, davanti a una folla gremita, venne celebrato il processo e la sua difesa fu affidata all’avvocato Leopoldo Tarantini. Il processo si concluse con la condanna a morte prevista per l’attentato alla persona del Re. La sentenza capitale suscitò le proteste degli internazionalisti e sorsero iniziative a favore di Passannante.
L’avvocato, fece ricorso in Cassazione, ma lo stesso Passannante era contrario, non cercava la grazia poiché, secondo le sue parole, non avrebbe portato alcun vantaggio alla sua causa mentre la morte l’avrebbe reso un “martire politico” e avrebbe giovato alla rivoluzione.
Dopo il rifiuto della Cassazione, Umberto I con Regio Decreto del 29 marzo 1879, concesse la grazia a Passannante, commutando la pena in ergastolo. La notizia della clemenza fece il giro d’Italia e venne accolta positivamente da gran parte dell’opinione pubblica e della stampa. Passannante sconterà la pena a Portoferraio, sull’isola d’Elba.

Arrivato a Portoferraio, Passannante venne condotto nella prigione della Torre della Linguella (In seguito ribattezzata Torre di Passannante). La cella era piccolissima, umida, buia, senza servizi igienici e posta sotto il livello del mare. Il pavimento, in terra battuta, permetteva l’infiltrazione di acqua marina, provocando nell’ambiente condizioni di insalubrità.
Attaccato a una corta catena di 18 chilogrammi, che gli consentiva di fare solo pochi passi e in completo isolamento. Passannante visse in quelle condizioni per 10 anni.
Con il passare del tempo tale detenzione influì sulla sua salute, sia mentale sia fisica. Si ammalò di scorbuto, fu colpito dalla taenia, perse i peli del corpo, la pelle si scolorì, le palpebre si rovesciarono sugli occhi, le guance si vuotarono e si gonfiarono e, secondo alcune testimonianze, arrivò a cibarsi dei propri escrementi. I pescatori che passavano nelle vicinanze della torre, udivano spesso le urla di strazio del detenuto. Dopo due anni, i carcerieri lo fecero salire al di sopra del livello del mare, ma le condizioni di vita rimasero immutate.
La morte
Passanante, che nel frattempo aveva sviluppato una malattia mentale, dopo una perizia psichiatrica che lo dichiarò insano di mente. Fu trasferito, segretamente nel 1889, presso la Villa medicea dell’Ambrogiana, il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino.
Anche se trattato in maniera più umana, le sue condizioni psicologiche e fisiche erano ormai irreversibili. Non poté essere visitato da nessuno, eccetto alcuni privilegiati. Nel suo ultimo periodo di vita non diede mai segni di aggressività e nonostante l’atroce detenzione, non si era spenta in lui la passione per la scrittura anche se, qualche volta, gli venne l’impulso di distruggere i suoi quaderni.
Coloro che lo visitarono, gli domandarono se avrebbe ripetuto il gesto e lui rispose di non essersi mai pentito di ciò che aveva fatto.
Divenne cieco e dopo aver passato i suoi ultimi anni in cecità, si spense nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Il referto del manicomio, spedito nello stesso giorno al comune di Savoia di Lucania, riportò una broncopolmonite come causa del decesso.
Curiosità
Giovanni Parrella, sindaco di Salvia, si recò a Napoli per porgere le sue scuse e chiedere perdono a Umberto I, il quale le accettò dicendogli: «gli assassini non hanno patria». Fu, in seguito, ricevuto dai consiglieri del monarca che, per ottenere la clemenza, gli imposero il cambiamento di nome della città, rinominandola Savoia di Lucania. Il sindaco accettò senza discutere e il comune cambiò toponimo con regio decreto il 3 luglio 1879.